Uno spettacolo.
Non trovo altre parole per descrivere la festa di domenica 24 ottobre 2021 andata in scena presso il Centro sportivo “Pier Paolo Bonori” di Bologna.
L’occasione è stato il primo Festival ufficiale del Minirugby post pandemia, organizzato dal Bologna Rugby, che ha visto la partecipazione di oltre 100 bambini e bambine tra i cinque e i nove anni, una ventina di allenatori / accompagnatori, 16 squadre di otto diverse Società e almeno 150 orgogliosi genitori (rigorosamente fuori dal campo da gioco).
I bambini e le bambine (tante tra i più piccoli) hanno pensato solo a divertirsi. Dopotutto il minirugby è un gioco, nel quale c’è sì competizione, ma dove il punteggio finale non è importante. Provate a chiedere al termine di una partita a un giovane atleta il punteggio finale. Non lo sa, spesso non sa nemmeno se ha vinto o perso. Sa solo di essersi divertito, di essere stato insieme a tanti amici. Di averli incitati all’inizio e abbracciati alla fine.
Il minirugby è il miglior social media che si possa immaginare, dove i bimbi e le bimbe, che tra qualche qualche anno saranno uomini e donne, possono crescere conoscendo i valori e le dinamiche della vita sociale, dell’amicizia, del rispetto e del sostegno reciproco.
E ora la cronaca della giornata.
Ogni partita è iniziata con il tradizionale “hip hip urrà”, trasformato dai più piccoli in un più semplice “Pi Pi Urrà”. Certamente più naturale da pronunciare, con vocali come finali di parola.
Al calcio d’inizio, i piccoli atleti già da schierati fanno vedere la loro indole.
C’è chi, serrando il paradenti in un ghigno deciso, cerca di incutere timore agli avversari (i futuri mediani di mischia in stile Faf de Klerk) e chi, estraniandosi dal gioco, guarda con insistenza, tra il risaputo e il curioso, da che parte uscirà la palla dalla mischia (i Nigel Owens del futuro).
Chi indica con la mano ai compagni la direzione di gioco (non sempre nel minirugby è chiara la direzione verso la quale correre) e chi, forte della propria prestanza fisica, alterna abbracci per incitare i compagni a poderose spallate agli avversari (in stile Martin Castrogiovanni). Infine, chi corre come un folletto per il campo, rapida e imprendibile (eh sì, al femminile, perché domenica le bimbe avevano uno sprint particolare): le future Sara Barattin.
Al termine delle partite l’altrettanto rituale saluto finale, che anziché essere il tipico corridoio dei più grandi, è di fatto un cerchio molto stretto, un abbraccio collettivo, quasi una maul, con l’unica differenza che nel minirugby al centro c’è l’allenatore al posto della palla e che le entrate laterali sono ben viste.
Tra una partita e l’altra (tutti giocano contro tutti), le pause vengono gestite in libertà. Chi continua a giocare sul bordo del campo, mescolando le squadre, chi si rinfresca, chi racconta ai genitori le gesta appena compiute e chi infine, per riprendersi da una botta, cerca conforto.
Maestro in questo è stato “Maurone” Anteghini, che dopo aver rincuorato e massaggiato una gamba indolenzita di un piccolo dell’Under 7, si è visto incalzare dai compagni di questo, tutti desiderosi di un rassicurante e paterno pit stop.
Per il Rugby Bologna 1928, un grazie a Simona Santini, Mauro Anteghini, Umberto Negri, Massimo Paolini, Paolo Rizzoli, Linda Padovani, Claudia Cocchi, Danilo Donati, Silvia Luconi e Fabrizio Montanari. Una squadra nella quale i ruoli di genitore, allenatore, accompagnatore, arbitro e organizzatore si sono mescolati in un amalgama dall’alchimia perfetta.
Al Festival di Bologna hanno partecipato le formazioni Under 7 e Under 9 di: Bologna Rugby 1928, Ferrara, Highlanders Formigine, Modena, Carpi, Castel San Pietro, Medicina, Pieve 1971.
(AM)